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La curva di contrasto – luce e colore in fotografia digitale. Differenze con la pellicola, perché è così importante la post-produzione in camera chiara. Come ottenere effetti naturali

Tuesday 11 October 2011
49Alla base dell’acquisizione di immagini c’è sempre un passaggio molto importante che è diventato oggi particolarmente critico in fotografia digitale, in quanto parzialmente demandato alla post-produzione, quindi passibile di numerose interpretazioni: la mappatura dei toni della fotografia scattata rispetto alla luce catturata dal sensore.
 
Da un punto di vista fisico, tutto ciò che avviene davanti il sensore non è differente dal sistema a pellicola, tuttavia il processo di acquisizione è notevolmente differente. Una delle prime cose che lamentano alcuni quando si parla di fotografia digitale è l’assenza di “naturalezza” delle immagini, presupponendo che le fotografie ottenute con la pellicola fossero per forza di cose rappresentazioni naturali della realtà fotografata.
 
In verità chi da fotografo ha esplorato davvero la tecnologia dei film sa bene quanto la scelta della pellicola fosse fondamentale per attribuire poi all’immagine determinate caratteristiche estetiche, legate ovviamente al contrasto della luce e alla forza dei colori rappresentati.
Decenni di esperienze di fotografi e fisici della luce hanno condotto a una sapiente ottimizzazione della curva caratteristica, quella che modificando invero contrasto e toni dell’immagine ci restituisce fotografie che ai nostri occhi appaiono appunto “naturali”. E’ bene ricordare che i nostri occhi non vedono certamente tutto lo spettro luminoso né reagiscono alla stessa maniera ai diversi toni. Tanto per fare un esempio, essendoci evoluti su un pianeta verde (almeno fino a questo secolo!), siamo più sensibili alla gamma tonale intorno al verde che non ad altre frequenze dello spettro visivo.

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La curva caratteristica che viene assegnata a una pellicola non è casuale e risponde a scelte estetiche su cui i fotografi del passato hanno a lungo ragionato. La fedeltà cromatica e luminosa, o meglio la resa nel processo di acquisizione/stampa, ad esempio, è stato uno dei campi di indagine di fotografi come Ansel Adams o Dmitri Kessel, fatto che li ha resi ciò che sono oggi, dei maestri della fotografia. Paradossalmente, nell’epoca del digitale, tutto questo ha perso di importanza perché la possibilità di intervenire in post-produzione tramite software ha reso obsoleta la tecnica sviluppata da questi maestri ma certamente non i principi che ne sono alla base.

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Come al solito, quando le cose diventano facili, si rischia di disinteressarsi e quindi di ignorare perché sono importanti e come interpretare, in questo caso, la rappresentazione visiva della realtà operata dalla fotocamera digitale. Le immagini infatti, ieri come oggi, altro non sono che una trasfigurazione/trasposizione del campo di energia luminosa dalla scena al sensore o alla pellicola. La curva caratteristica è una funzione matematica che mappa i valori di esposizione e  ci rende un’immagine precisa, dal punto di vista del contrasto luminoso e cromatico, che si tratti dei valori di densità (pellicola) o dei singoli pixel (digitale).

bayerfilterLa curva deve rappresentare, di una determinata scena, tutti gli intervalli di esposizione, o EV, gestibili anche come stop di luce, e trasformarli in una precisa scala di grigio. Ricordiamo che il sensore digitale acquisisce le immagini in scala di grigi e solo grazie a un filtro vengono assegnati i colori, ma dal punto di vista dell’esposizione e degli intervalli di luce, poco cambia.
Se la fotografia fosse una rappresentazione fedele della realtà, ogni intervallo di luce della scena rappresentata, in ciascun punto di acquisizione (sensore) o reazione chimica (pellicola) verrebbe tradotto nella stampa o nella proiezione finale esattamente così com’è, rendendoci un’immagine sicuramente sgradevole ai nostri occhi e apparentemente…innaturale, perché molto “piatta”.

Oltre che da un punto di vista estetico, ci sono differenze tra pellicola e sensore che richiedono al fotografo un adattamento della tecnica. Sappiamo infatti che la pellicola sopporta molto meglio un eccesso di esposizione nelle alte luci, il che significa che è più difficile con la pellicola (e ancor più con quella per diapositive) “bruciare” le zone chiare della fotografia, cosa che invece avviene facilmente in digitale anche per variazioni di mezzo stop. La pellicola, a seconda del tipo e/o  della sensibilità, può tollerare fino a ben 4-5 stop di sovraesposizione. Tra l’altro questa caratteristica viene sfruttata dal fotografo a pellicola, sia per schiarire le ombre in situazioni a forte contrasto luminoso, laddove le pellicole hanno una latitudine di posa decisamente inferiore ai sensori digitali più evoluti, sia per “tirare” la pellicola e poi recuperare in fase di sviluppo. Errori grossolani di esposizione vengono corretti, a nostra insaputa, nei laboratori di sviluppo, il che comporta il rischio, per chi non stampa le foto in casa, di ripetere sempre in buona fede gli stessi errori.

226Il digitale invece ci pone di fronte a una verifica immediata dell’esposizione, il che è certamente un grande vantaggio anche per imparare più velocemente dai nostri stessi errori. Per contro però ci impone maggiore precisione in fase di scatto. Come che sia, pellicola e digitale operano un intervento sull’immagine acquisita, o meglio sull’intensità di luce, per ottimizzarla secondo un contrasto determinato. La differenza più importante sta nella necessità, con la pellicola, di scegliere prima quale film usare per determinate caratteristiche. Notoriamente le pellicole deputate alla fotografia di paesaggio hanno una grande tolleranza per le alte luci, con una curva caratteristica che permette, ad esempio, di sovraesporre senza perdere i valori di contrasto, ma sono molto lente a reagire (50 o 25 ASA). Le pellicole più veloci (400 ASA) reagiscono velocemente ma hanno una resa diversa per contrasto e gamma dinamica.

Qualcosa di analogo succede nel digitale modificando la sensibilità ISO, tuttavia segue una curva di contrasto che è diventata lo standard ed è stata determinata da accurati studi di laboratorio, ad esempio da parte della Kodak, agli inizi del 1900, che elaborò la classica curva a S che oggi ben conosciamo – secondo cui reagiscono le pellicole – che permette un trasferimento della luce in immagine immediatamente ottimizzato senza così bisogno di intervenire più di tanto in camera oscura. La curva ad S è tuttora anche alla base della fotografia digitale.
La curva ad S risponde a una scelta ben precisa: comprimere la gamma dei toni chiari e scuri (agli estremi) ed esaltare invece i toni medi, laddove è il colore che percepiamo a occhio nudo. Ovvero determina una fotografia che non è per niente fedele alla realtà ma assolutamente fedele alla vista dell’occhio umano.

Ciò tuttavia non basta, perché come sa chiunque curi meticolosamente il workflow digitale, occorre un ulteriore intervento di post-produzione per attribuire una certa nota di contrasto tonale alle immagini, affinché siano sufficientemente “gradevoli” all’occhio umano, ovviamente con una lavorazione diversa per diversi generi di fotografia. Non vorremo infatti dare troppo colore all’incarnato mentre desidereremo aumentare alcuni intervalli di tono ad esempio in una bella fotografia di paesaggio.

160Non a caso un file RAW, o negativo digitale, è di suo abbastanza neutro malgrado nasca già ottimizzato secondo al suddetta curva, perché questo ci permette di interpretare correttamente lo sviluppo finale dell’immagine secondo le caratteristiche specifiche. Questo può avvenire tramite Photoshop o tramite l’elaborazione automatica della fotocamera che pre-impostiamo o che addirittura oggi elabora dopo lo scatto le nostre immagini. Capiamo bene a questo punto che se la nostra visione fotografica viene costantemente stimolata da immagini fortemente cariche di contrasto e colore, come avviene ormai guardando prevalentemente le foto a video, il senso di ciò che è ottimizzato o “naturale” ai nostri occhi sta lentamente slittando verso un’accentuazione decisamente forzata dal supporto digitale. Ma ovviamente basta guardare a occhio nudo una scena per renderci conto immediatamente del perché le foto di più 10 anni fa ci appaiano ancora oggi più naturali.

©2011 Marco Palladino

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